Anni fa, mi è stato regalato un libro d’arte che mi ha
immediatamente sedotto. Si tratta di Artscape
Nordland, la compilazione di un progetto che comprende 33 opere scultoree
inserite nel paesaggio della regione centrale del Nordland, in
Norvegia (per intenderci, la parte mediana del “manico” del ”cucchiaio”). Un
qualcosa di raro, se non unico, dove arte e natura si fondono, si complementano
e, a volte, contrastano.
l progetto parte quando già da
tempo si era accesa la discussione di arte versus
natura. I nordici, sempre attenti all’ambiente e alla sua protezione, sono però
anche innamorati dell’arte, particolarmente della scultura, come testimonia la Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen,
magnifica e ricchissima collezione di sculture dall’antichità fino al XX
secolo.
Skulpturlandskap
Nordland nasce alla fine degli anni ottanta, quando 33 municipalità della
regione si accordano per commissionare lavori ad altrettanti artisti di
diciotto Paesi da inserire nelle diverse zone, con l’idea di creare un museo a
cielo aperto di 40 mila km². Si era partiti da un dibattito sul ruolo dell’arte
nella società. I 200 mila abitanti del Nordland non avevano nessun museo o
galleria locale, sicché gli interessati dovevano fare lunghi viaggi per vedere l’arte
da vicino. L’inizio del progetto data 1992 e la fine 1998. Il libro riproduce
tutte le opere accennando solo al loro contesto. Questa infatuazione mi riempie
di curiosità e desiderio di vedere e toccare le sculture.
Approfitto di un’estate particolarmente calda e mi involo
verso Nord, dopo avere organizzato visite ad amici a Oslo e uno scambio di case
a Sandnessjøen, comprensivo di traversata in nave postale Hurtigruten fino alle
isole Lofoten, dove sono inseriti molti dei lavori.
Arriviamo a Oslo, poi prendiamo un volo interno fino a Trondheim,
infine un altro locale fino a Sandnessjøen, capoluogo della municipalità di
Alstahaug, dove si trova la prima opera che vedremo, della norvegese Sissel
Tolaas, intitolata “Vindenes Hus”
(casa dei venti).
Questa è una costruzione cilindrica di cemento ed ha
numerose aperture circolari di diverso diametro con inserite eliche che il
vento fa ruotare. Ogni elica è operata da un vento diverso e il nome di
ciascuno è scritto in corrispondenza del foro. Una specie di laboratorio
anemometrico.
Sandnessjøen non è particolarmente affascinante, ma è
inserita in un contesto meraviglioso, con alle spalle la catena delle Syv Søstre (sette sorelle), sette vette
in fila, tutte intorno ai 1000 metri, su una delle quali ci siamo arrampicati
per godere di una vista da togliere il fiato. Il canale marino, il fiordo e i laghi
glaciali costellano il paesaggio come pietre preziose. La mano dell’uomo è
stata piuttosto reticente a cambiare i connotati del luogo.
Una grande opera però è stata costruita: si tratta del
grande ponte strallato di Helgeland, che attraversa lo stretto di Leirfjord con
lieve grazia. Un’opera di ingegneria che non deturpa il paesaggio né tutte le
sfumature di blu della sua tavolozza. Anche la tecnologia può essere sublime.
Al di là del ponte inizia la municipalità di Leirfjord, dove
è stata inserita un’altra opera del progetto artistico. Si tratta di “Around” del brasiliano Waltercio
Caldas, che ha realizzato un parallelepipedo con profilati di acciaio
appoggiato su una piattaforma rocciosa elevata dominante il braccio di mare. La
particolarità consiste nella posizione relativa dell’osservatore. Il metallo è
verniciato in un blu violaceo, che secondo l’autore è il colore dell’ambiente.
Non riuscirò a vedere tutte le opere del progetto, comunque
ce ne sono almeno due che non voglio assolutamente perdere.
Ci imbarchiamo molto presto di mattina sulla nave
dell’Hurtigruten (servizio postale) Midnatsol
(sole di mezzanotte), per attraversare il canale tra la costa e le isole
Lofoten. La traversata resterà impressa nella mia memoria come una delle
esperienze più indimenticabili. Il mare, il profilo lontano delle isole e un
sole dolce e persistente che percorre un lento arco nel cielo azzurro in queste
giornate interminabili ed eccezionalmente tiepide, intorno al Circolo Polare.
La traversata dura circa dodici ore, con una sosta a Bodø per una visita al
capoluogo del Nordland.
Bodø è una cittadina poco interessante, a mio avviso. La
scultura che ospita è dell’inglese Tony Cragg, “Untitled”. Non dice molto alla mia sensibilità: sette massi di
granito appoggiati sull’argine del porto, forati regolarmente da parte a parte.
Groviera per troll.
Molto più entusiasmante è l’avvicinarsi del “muro delle Lofoten” nella luce iridescente dell’interminabile tramonto.
Allo sbarco a Svolvær, capoluogo dell’arcipelago,
rimango affascinata dalle alte intelaiature di legno usate per fare
asciugare i merluzzi, che poi sono esportati in Italia e Portogallo come
stoccafissi.
Quasi opere d’arte di per sé, costellano i moli e le
passeggiate, tra le rosse rorbur, tradizionali case di pescatori su palafitte,
oggi trasformate in alloggi per turisti. Non possiamo mancare l’esperienza di
dormire in una di queste. Imperdibile.
Ancora più entusiasmante è la scultura, anche questa senza titolo, che l’americano Dan Graham ha inserito nel paesaggio di Vågan, nel comune di Svolvær – qualcosa che trascende l’opera d’arte in sé: ha creato un evento. Infatti si tratta di una costruzione di vetro trasparente e riflettente che si trova sulla strada principale, e quindi non può sfuggire all’osservazione. A seconda delle stagioni e delle ore del giorno vi si riflettono e scompongono nella parete concava immagini sempre diverse. Un’opera pittorica, scultorea, e contemporaneamente architettonica. Soprattutto, un’idea che cattura la natura. Uno dei due lavori che ho trovato più affascinanti.
L’altra opera che mi ha spinto fino a qui è “Head” dello svizzero Markus Raetz. La
si trova nella municipalità di Vestvågoy, sul litorale deserto di Eggum, un po’ fuori mano rispetto
alla strada principale. Su una colonna di granito alta circa 170 cm si trova
l’oggetto che ha dozzine di forme a seconda del punto di osservazione: da due
posizioni si percepisce un profilo umano, ma in un caso è capovolto.
Il terreno
che circonda la scultura è un pascolo, e il panorama è monumentale, con da una
parte un lago plumbeo semicircondato da aspre colline; i colori sono cangianti
e basta una nuvola passeggera per creare un’altra scena. Dalla parte opposta
c’è il mare, volubile come le stagioni, pieno di bellezza e di ricordi storici
– siamo nella terra degli antichi Vichinghi – e la scultura è perfettamente
integrata nell’ambiente, come un possibile totem.
Visto che da qui partirono navi vichinghe, nella vicina Borg
c’è un museo vichingo, con una imbarcazione ricostruita e la replica di un
lunghissimo edificio ligneo, la casa del capo villaggio, allestita internamente
secondo come doveva essere originariamente. Attualmente viene utilizzata come
ristorante e luogo di feste in costume, dove le cameriere portano acconciature
ed abiti medievali, le panche sono coperte di pelli animali, vi sono candele accese e vari
oggetti utilizzati intorno all’anno 1000 dagli abitanti della zona.
La tappa successiva è Stokmarkenes,
cittadina portuale con una vecchia nave Hurtigruten fuori servizio visitabile.
Interessante notare l’evoluzione di queste imbarcazioni nel corso degli anni.
Questa è anche la località dove troviamo il prossimo dei lavori, “Days and Nights”, del turco Sarkis.
L’impressione che mi hanno dato queste due casette di
granito, una bianca e l’altra nera, è stata cimiteriale. Mi sono sembrate due
tombe di famiglia un po’ fuori luogo, sedute su una piattaforma di cemento
prospiciente il fiordo. Fredde.
Proseguiamo verso nord e arriviamo a Sortland, soprannominata la “città azzurra” per il numero di case
di questo colore. Si trova a nord del Circolo polare ed è uno dei luoghi più
favorevoli all’osservazione delle aurore boreali. Ma solo in inverno.
A Sortland
c’è un’altra scultura, “Ocean Eye”,
dell’islandese Sigurdur Gudmundsson. La stilizzazione di una barca a vela o una
barca sormontata da una casa con un foro centrale a forma di rombo. Le pareti
lucide di granito riflettono l’umore cangiante del mare, del cielo e delle
montagne, mentre il foro centrale è una finestra aperta e una cornice della
lontananza.
La sosta seguente è a Fauske,
per osservare un lavoro del norvegese Per Barclay, senza titolo. Il significato è molto elusivo: due lastre di
granito, una bianca e una rosata, poggiano su strutture di alluminio davanti a
un ricovero per barche. A seconda delle maree nel fiordo, le strutture
metalliche sono visibili o no. La perplessità è il sentimento che mi accompagna
sempre se guardo o penso a quest’opera.
La prossima, invece, mi piace un mondo. Si trova a Saltdal, è intitolata “Four Exposures” ed è stata realizzata
dal lituano Gediminas Urbonas. Su una scarpata sono state create quattro
mensole di cemento, di cui una vuota, una che contiene uno sci, una un remo e
l’ultima un “nido” a forma di uovo formato da pietre tonde, bianche e regolari
come uova. Bellissima.
Mo i Rana, “Havmannen”, del britannico Antony
Gormley. Questa scultura è gigantesca: oltre 10 metri ed è in parte immersa nel
fiordo, 15 metri dalla riva, a cui dà le spalle. La interpreto come simbolo
dell’incomunicabilità tra esseri umani o del pensiero profondo che ci
attanaglia. Considerando l’opus di Gormley, constatiamo che la sua ispirazione
principale è la figura umana: l’uomo come individuo e come massa. Ricordiamo il
suo “Field” esposto più volte alla Tate Gallery di Liverpool, con 35.000
figurine di terracotta che ricoprono tutto un salone, una mini versione
dell’esercito di terracotta.
A Mosjøen, nella
municipalità di Vefsn, ci sono “Tre
Éldar” (tre fiamme) dell’islandese Hulda Hákon. Queste descrivono una saga,
come le lastre iscritte lungo il sentiero mostrano, che si svolge in un bosco
di betulle, in cui bruciano fuochi eterni. Le fiamme sono in acciaio inossidabile laccato d’oro.
Con questa opera si conclude il viaggio di scoperta di una
storia d’arte ambientata nel nord e affidata alla narrazione di scultori
internazionali. Tutte le altre opere del progetto devo ancora scoprirle.
DaniBlue
29.01.14
1 comment:
che bello questo vostro itinerario nel profondo nord, le foto invitano al silenzio, alla riflessione, alla contemplazione, è come bere una tisana calda che scende giù poco a poco. Mi è piaciuta molto l'ultima scultura, quella grande statua immersa in parte nell'acqua e che guarda il mare. Contrariamente a te non la vedo come un segno di solitudine o incomunicabilità, ma di integrazione; consapevoli o meno facciamo parte della Pachamama, la madre terra che ci accoglie e di cui dovremmo essere ospiti rispettosi. sara
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