“Qui comincia l’avventura
dei signori Bonaventura…”
Prendo a prestito questo tormentone, leggermente modificato,
di Sergio Tofano dal Corriere dei Piccoli
degli anni Cinquanta con il quale cominciavano tutte le settimane gli episodi
del fortunatissimo personaggio dei fumetti che alla fine guadagnava sempre “un
milione”.
I signori Bonaventura in questione siamo io e Gigi, che
intraprendono un viaggio agli antipodi in cerca dell’esotismo estremo
rappresentato dalle due grandi isole dell’arcipelago neozelandese, l’Isola del Nord e l’Isola del Sud, bizzarra riproduzione capovolta e rovesciata dello Stivale,
esattamente a 180 gradi rispetto alla nostra penisola, isole circondate
dall’oceano Pacifico e lontane dal resto dei continenti. La “vicina” Australia
dista 1500 chilometri.
Il
nome originale usato dai primi abitanti, i Maori,
arrivati dalla Polinesia nel 13°-14° secolo in molteplici ondate su
imbarcazioni affusolate e precarie, è molto poetico: Aotearoa,
o “terra della lunga nuvola bianca”. I Maori sono tuttora presenti, ma il loro
numero non è in aumento, rispetto alla maggioranza – rappresentano meno del 15%
della popolazione - , per alta incidenza di malattie, bassa aspettativa di vita,
disoccupazione, elevato tasso di suicidi, criminalità e altri problemi sociali.
Come primi abitanti, erano genti guerriere e provetti
pescatori. Non avevano il concetto di proprietà della terra e quando arrivarono
intorno al 1700 i primi occidentali – Abel Tasman fu il primo nel 1642, poi
James Cook nel 1773 – vi furono scontri, seguiti da trattative commerciali, e
dal Trattato di Waitangi (1840), con il quale i Britannici si assicurarono il
controllo di quasi tutto il territorio. Furono introdotte le armi da fuoco
dall’Europa e dal Nord America, che purtroppo vennero utilizzate in guerre
inter-tribali, in cui morirono 30-40 mila Maori. Ci fu un declino del 40% nel
numero della popolazione Maori nel 19° secolo, cioè da quando i missionari
cristiani arrivarono a convertirli e a introdurre malattie contro cui non
possedevano anticorpi.
Sebbene l’arrivo degli Europei abbia avuto un impatto
profondo sul loro modo di vivere, molti aspetti della società tradizionale sono
presenti ancora nel 21° secolo. I Maori partecipano appieno a tutte le sfere
della cultura e della società neozelandese, vivono all’occidentale pur
mantenendo i propri usi culturali e sociali. Nonostante l’integrazione
avanzata, compresi i matrimoni interetnici, esistono sempre villaggi-riserva in
cui vivono a migliaia e dove si svolgono celebrazioni anche a favore dei turisti,
con danze, cibi, bevande tipiche e, naturalmente, haka, danza stilizzata
che rappresenta sfida e minaccia. Tutto questo lo abbiamo imparato strada facendo, perché l’esperienza neozelandese è stata ricchissima di stimoli e informazioni sensoriali e intellettive.
Il volo da Londra ad Auckland, esclusa la sosta di tre ore nell’orrida zona-transito dell’aeroporto di Los Angeles, dura 23 ore. Assolutamente consigliabile la business class, per i fortunati che possono permettersela. Già appena imbarcati si respira un’atmosfera diversa, rilassata, vacanziera. Sì, perché passiamo dall’inverno boreale all’estate australe. I compagni viaggiatori sono in bermuda e sandali, tantissimi giovani “saccopelisti”, belli, spartani, sorridenti. Già anticipano le evoluzioni che faranno sul windsurf e i trekking in alta montagna. Noi siamo tra i più vecchi e borghesi a bordo.
All’aeroporto di Auckland veniamo accolti da Ian, il nostro amico “kiwi”, che ci accompagna a casa sua, a Bucklands Beach, uno dei sobborghi di quest’immensa città, dove ci aspetta Chris con un pranzo preparato con le verdure del suo bellissimo orto sul mare.
La natura neozelandese è incredibile e totalmente diversa da
quella europea. Il verde è addirittura lussurioso,
più che lussureggiante, fa venire in mente le forze primordiali che spingono per
crescere e moltiplicarsi. Le gentili felci che nei nostri climi tappezzano il
sottobosco qui sono alberi di tutto rispetto, legnosi, perenni, con chiome a
ombrello che riparano dai raggi solari. La felce
arborea Cyathea medullaris è
pianta cara ai Maori, e la sua fronda,
arrotolata o no, è il simbolo sia
di Air New Zealand sia degli All Blacks.
Per i Neozelandesi il Christmas tree non è il piccolo abete che in Europa e Nordamerica viene decorato in casa con palline di vetro e luci intermittenti, ma un maestoso sempreverde detto pohutukawa (Metrosideros excelsa) dai fiori rossi e soffici come scovolini, una mirtacea simile al callistemon che cresce anche da noi, ma più portentosa.
Ma l’albero sovrano per eccellenza, una conifera, è indubbiamente il kauri (Agathis australis),
gigante assoluto della flora australe, di cui il massimo esemplare, che si
trova in una foresta sulla punta dell’Isola del
Nord, è alto 51 metri con una circonferenza di tronco di 14 metri. Si
tratta di una specie rara e protetta, poiché i colonizzatori dei secoli passati
l’avevano decimata per procurarsene i tronchi con cui realizzare alberi di
navi, date le sue qualità di perfetta perpendicolarità e assenza di nodi fino
quasi in cima, dove parte la chioma.
La ricchezza della biodiversità del Paese è seriamente protetta da leggi molto restrittive: è vietato importare semi e/o piante di specie non autoctone. E’ perentoriamente proibito importare mele o altri frutti, senza parlare poi di specie animali. Siate avvertiti. I Neozelandesi sono estremamente seri nella difesa della loro specifica biodiversità. In passato ci sono stati casi di importazione di specie ritenute innocue che invece hanno finito per prendere il sopravvento e causare l’estinzione di quelle autoctone. Particolarmente detestati sono i possum, piccoli marsupiali australiani, che in breve tempo si sono moltiplicati a dismisura e si nutrono dei germogli degli alberi tanto cari agli abitanti. Invece, dell’uccello-simbolo neozelandese, l’elusivo kiwi, non vedremo mai nemmeno una piuma.
Una caratteristica della natura neozelandese è che non
comprende specie velenose o pericolose: non ci sono coccodrilli, serpenti,
grossi felini; mancano perfino le ortiche. Qui si vive nel paradiso terrestre e
ce lo si tiene ben stretto.
Auckland non è la
capitale, ma è la città più estesa e popolosa del Paese, il centro commerciale
e finanziario e il porto principale. Si può dire che tutti gli abitanti
possiedano o condividano la proprietà di una barca. Nonostante le dimensioni
della metropoli, l’oceano non dista mai più di pochi chilometri da ogni punto e
dappertutto ci sono piccoli porti turistici e cale con attraccate una miriade
di imbarcazioni, di tutti i tipi e misure.
Naturalmente anche Chris e Ian hanno una barca, e ci portano
con questa a fare un giro dentro l’immenso porto. Vediamo spericolati
windsurfer, profili di isole esclusive, fari galleggianti, scattanti silhouette
di imbarcazioni da regata che si preparano per le gare, velieri maestosi (The Spirit of New Zealand) e la skyline
di Auckland, caratterizzata dalla svettante Sky Tower.
Mentre Ian resta a bordo, Chris, Gigi ed io partiamo per una
passeggiata sull’isola disabitata di Rangitoto,
riserva naturale di specie di botaniche e aviarie. Tornati a bordo, partiamo
per una gita di pesca, durante la quale saranno catturati diversi begli
esemplari di succulenti snapper.
Memori di passate disavventure al largo della Cornovaglia,
io e Gigi ci impasticchiamo contro il mal di mare, col risultato che Gigi è in
perfetta forma e io mi addormento come un sasso e ronfo per tutta la gita di
pesca e tutta la notte successiva. Chi dorme non piglia pesci, è proprio vero.
Però li mangia.
Il giorno successivo andiamo a fare un picnic a Muriwai Beach, famosa per la spiaggia
di sabbia nera e la numerosissima colonia di sule bassane.
Sfortunatamente al largo di Muriwai nel 2013 c’è stato un
attacco di squali a un nuotatore che è poi morto. Un’evenienza fortunatamente molto
rara. Noi però non corriamo alcun rischio, e godiamo di una giornata perfetta
di sole e brezza, consumiamo il nostro ricco picnic e passeggiamo sulla lunga e
soffice costa sabbiosa, fino a una grotta naturale, osservando le migliaia di
sule appollaiate sulle rocce e i volteggi dei parapendisti. Di lì andiamo poi
all’intrigante e solitaria spiaggia nera di Karekare, che ha conquistato celebrità grazie al film di Jane
Campion Il piano, per alcune scene girate qui.
Tra le cose da fare e da vedere ad Auckland c’è Kelly Tarlton’s Sea Life Aquarium,
molto più di un comune acquario, soprattutto per il luogo in cui è stato ambientato:
invisibile dall’esterno, si trova nel sottosuolo in antiche vasche fognarie di
decantazione in disuso, trasformate con tunnel acrilici curvi, anziché i soliti
pannelli di osservazione piatti. Il progetto comprende anche nastri
trasportatori per far muovere lentamente i visitatori nelle varie zone. Una di
queste si chiama Antarctic Ice Adventure, e racchiude pinguini nel loro habitat
a temperatura controllata.
E NOHO RA, AUCKLAND!
(Addio, Auckland)
L’ultima sera ad Auckland la passiamo in giro per il Viaduct Basin, un progetto portuale
“fallito” dei primi del novecento. L’idea era quella di creare uno spazioso
bacino per i grandi mercantili sul modello del porto di Londra, ma furono
sbagliati i conti e alla fine non c’era abbastanza pescaggio per le grandi
navi, sicché il bacino venne e viene tuttora sfruttato come porto per yachts
privati, imbarcazioni da pesca e di piccolo cabotaggio, nonché come punto di
partenza per l’Americas’ Cup 2000. Oggi il Viaduct è la zona trendy di
Auckland, con uffici e appartamenti di lusso, decine di ristoranti alla moda,
mercatini e boutique, pub e locali notturni.
Ci avviamo quindi lungo il Princes Wharf, il pontile dei principi, che ha l’aspetto di un
transatlantico ancorato in porto, e arriviamo alla “prua”, dove c’è un albergo
Hilton con ristorante. Il tavolo che abbiamo prenotato per la cena di
ringraziamento e congedo da Chris e Ian è proprio sulla sommità del pontile,
abbastanza in alto, quindi con magica vista di tutto il Viaduct Basin e il
porto circostante. Sul pontile vi sono alcune interessanti panche a forma di
trono, intagliate nelle essenze caratteristiche neozelandesi da artigiani
locali, e naturalmente lì scattiamo le nostre ultime foto metropolitane.
(Continua)
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