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Sunday, 26 January 2014

Sottosopra 3: Viaggio agli Antipodi (da Abel Tasman N.P. a Queenstown)


 


New Zealand - South Island (Isola del Sud). Siamo al nostro secondo viaggio sottosopra. Nel  primo avevamo assaporato l'Isola del Nord: Auckland, Coromandel e un po' di altre località turistiche molto affascinanti. Ci avevano colpito l'ospitalità e l'informalità degli abitanti, la dolcezza del clima, la bellezza del paesaggio, la natura incontaminata, la biodiversità e i grandi spazi liberi.


Stavolta visitiamo l'Isola del Sud, che copre un'area un po' maggiore della prima (150 mila contro 114 mila km quadrati), ma che è ancora meno popolata (1,05 contro 3,5 milioni di abitanti) e dove tutto risulterà più spettacolare, più drammatico, ancora più mozzafiato.

Tra le due isole passa lo Stretto di Cook, uno dei più imprevedibili e pericolosi al mondo. Gli intrepidi Maori lo traversarono oltre a 800 anni fa in canoa perigliosamente - e di sicuro tragicamente - ricavandone leggende spaventevoli. Essendo remota e di difficile accesso, l'isola rimane solo sparsamente abitata da poche tribù polinesiane fino al 19° secolo, quando un numero di Maori lascia l'Isola del Nord e vi si trasferisce, annientando e/o assimilando gli abitanti precedenti. Nel frattempo anche i Britannici vi si insediano e combattono i Francesi che avevano messo un avamposto ad Akaroa, riuscendo alla fine a dichiarare completa sovranità su tutta la Nuova Zelanda nel 1840.



 
Il nostro itinerario inizia a Blenheim, a NE della South Island, dove noleggiamo la Toyota Corolla che ci scarrozzerà per l'intero perimetro. Siccome piove, ci dirigiamo direttamente verso Nelson, città più a NW e porta d'ingresso per il parco nazionale Abel Tasman nel canale di Marlborough  (Marlborough Sounds). Il tempo è instabile e si prevedono peggioramenti. Durante il percorso adocchiamo una bizzarra costruzione lignea isolata nel cuore della boscaglia. Ci avviciniamo e scopriamo che si tratta di un Bed & Breakfast. Ci piacerebbe fermarci qui per dormire. Suoniamo e telefoniamo, senza però nessuna risposta. A malincuore continuiamo verso Nelson, dove pernottiamo in un attrezzatissima suite Trailways Lodge, con tanto di idromassaggio  in camera.

 





La mattina seguente vogliamo fare una lunga passeggiata nel parco nazionale ed entriamo nella giungla a Marahau, mentre notiamo che si sta preparando un temporale. Fantastica la vegetazione e i colori della baia e del cielo - smeraldo e blu cupo - magnifica la lunga spiaggia di sabbia dorata. Facciamo in tempo a fotografare un paio di sandpipers (scolopacidi) e un airone a distanza, prima di correre indietro sotto la pioggia battente. Le previsioni dicono che pioverà  per i prossimi due giorni dappertutto, tranne nella regione dei laghi ed è lì che ci dirigiamo, dopo aver prenotato alla Alpine Lodge di St. Arnaud.


Il luogo è nel cuore del grande parco nazionale dei laghi di Nelson (Nelson Lakes N.P.), regione di splendide escursioni alpine e sport invernali. Purtroppo, siamo costretti a passare quasi tre giorni rintanati in camera a causa dell'incessante freddo e pioggia. Al massimo usciamo a fare una breve passeggiata lungo la riva del lago Rotoiti e trascorriamo un paio d'ore nel Visitors' Centre. Per lo più, osserviamo la fauna aviaria - merli e anatre - attraverso la finestra della camera, facciamo bucati, giochiamo a sudoku, sorseggiamo sidro davanti al caminetto acceso e scriviamo un mare di cartoline. Anche i giovani e baldanzosi escursionisti dell'ostello adiacente appaiono depressi a causa dell'ostilità meteorologica. Fortunatamente, la cucina della baita è eccellente e copiosa.





Il terzo giorno non ce la facciamo più e saliamo in macchina per Westport, una località della costa occidentale, dove abbiamo prenotato il prossimo bed & breakfast. Sulla strada ci fermiamo a fare alcune foto del lago Rotoroa.

Il percorso segue l'impetuoso fiume Buller, ricco di rapide su cui si cimentano scavezzacollo in kayak, e che trasporta tonnellate di legname verso la costa. Arriviamo al Capo Foulwind (letteralmente: vento schifoso), denominazione appropriata per questo tratto di costa spazzato da bufere.



 
 Il paesaggio toglie il fiato per la bellezza selvaggia; il livore del cielo sottolinea la furia vincente della natura. Facciamo una passeggiata a piedi lungo un sentiero costiero ricco di meraviglie, compresa la colonia di otarie orsine che sonnecchiano sugli scogli.















Il nostro alloggio per la notte è a Carters Beach - che ha l'unica spiaggia sicura per i nuotatori sulla costa occidentale, dicono - in un enorme appartamento ben arredato e attrezzatissimo, parte del bungalow di un'anziana coppia, Marlene e Ross, due persone deliziose che si fanno in quattro perché ci sentiamo a casa. Il pane è fatto in casa (hmmm) e il giardino non è grande ma sgargiante di aiuole fiorite. I due sono anche guide gastronomiche competenti e ci indirizzano nel miglior ristorante della zona, il Bayhouse Café, che domina una vista mozzafiato sulla baia. Non ricordo il menù, ma so che era favoloso, sebbene meno memorabile del panorama.













Il giorno seguente visitiamo Punakaiki, o Pancake Rocks, un'attrazione geologica della zona, consistente in rocce calcaree stratificate erose dal mare e dal vento, che coprono una vasta area e comprendono sfiatatoi in cui si incanalano le onde marine che "sparano" getti simili a geyser.




 Ci sono ponti naturali sotto i quali volano gli uccelli, assordanti risacche, spruzzi e nebbia marina.




Di nuovo on the road arriviamo a Hokitika, in vista del Monte Cook nelle belle giornate, fotografiamo il faro e ceniamo in un ristorante francese di classe, il Café de Paris.  Ci divertiamo a confondere la cameriera ordinando in francese, quando è chiaro che non lo mastica nemmeno un po'. Il momento critico arriva quando chiediamo "L'addition, s'il vous plait". Quasi sviene. Pernottiamo al B&B Montezuma. Hokitika è la località principale della giada, dopo essere stato uno dei centri principali minerari per le miniere d'oro. Ha numerose boutique che vendono oggetti in giada e anche noi facciamo qualche piccolo acquisto.


Di mattina siamo di nuovo in viaggio per la regione dei ghiacciai. Occorre decidere se vedere il Franz Josef o il Fox. Optiamo per il secondo. Questi due ghiacciai sono unici in quanto partono da oltre 2500 m e arrivano quasi al mare, cioè a 300 m s.m. Ci si può avvicinare a piedi al Fox Glacier attraverso la giungla. La base è alta 20 metri di giaccio verdastro estremamente compresso.


Ritorniamo verso il mare, prendiamo visione del nostro alloggio e ci mettiamo di nuovo in marcia verso il lago Matheson nell'ora magica del tramonto.




Il Matheson è uno degli specchi d'acqua più suggestivi della Nuova Zelanda. Soprannominato "Mirror Lake", la sua tranquillità riflette le due massime vette del Paese, i monti Cook e Tasman, 3754 e 3498 metri rispettivamente. Lungo le sue rive, al tramonto vengono dozzine di giovani in attesa dei momenti magici all'alba e al tramonto, per le sfumature fortemente suggestive.



Il mattino successivo facciamo una passeggiata tonificante a Gillespie Beach, con lo sfondo delle Alpi Meridionali e il Mar di Tasmania ai nostri piedi. Come dappertutto in Nuova Zelanda, la spiaggia  è a perdita d'occhio e tutta nostra.




Alle 11 siamo prenotati per una gita in elicottero fino in cima al ghiacciaio Fox. Entriamo in sei più il pilota. Il volo ci toglie il respiro, la pressione si fa sentire sui timpani anche se indossiamo cuffie antirumore. Il colore verde del ghiaccio è causato dall'ossigeno intrappolato nella massa. In venti minuti o meno ascendiamo dal livello del mare fino a oltre 3000 metri. Durante l'ascesa vengono le vertigini se si osserva il paesaggio di crepacci profondissimi che sorvoliamo.






Sorprendentemente a nessuno viene il mal d'altitudine. La temperatura è straordinariamente mite in cima: 15-20°C e si può stare in maniche corte. Il sole acceca riflesso dal bianco del ghiaccio contro il blu intenso del cielo. Tutti scattano foto a gogò, poi si riprende l'elicottero e si scende a valle. Dall'alto il ghiacciaio appare una cascata bianca in mezzo al verde, che si rastrema e diventa un fiume liquido a pochissimi chilometri dalla foce.


Dopo aver visto questa meraviglia della natura, una prima assoluta nella mia esperienza, ci rimettiamo in strada. La prossima tappa è il lago di Wanaka, dove intendiamo fermarci un paio di giorni. Il tempo è molto variabile durante il nostro soggiorno; usciamo dall'albergo solo per brevi passeggiate a causa degli improvvisi rovesci. Ne approfittiamo per fare qualche bucato e giriamo in cerca di buoni ristoranti. La fortuna ci assiste facendoci trovare quasi per caso il Te Tawara, un ristorante creativo all'interno del circolo del golf. Purtroppo ha chiuso. Per me si meritava cinque stelle.
 

 


 
Dopo il secondo giorno siamo in partenza da Wanaka, ma prima facciamo tappa al Puzzling World, un parco di illusioni ottiche, puzzle, labirinti (io mi perdo in uno di questi) e altri giochi, in cui fotografo Gigi che sostiene la Torre Pendente.



Prima di arrivare a Queenstown, facciamo un'altra sosta ad Arrowtown, cittadina dei cercatori d'oro nel 19° secolo, preservata in modo esemplare; oggi frequentata da molti turisti tra cui noi, che decidiamo di farci uno spuntino e acquistare qualche manufatto locale (oro, giada e maglioni).




Ed eccoci finalmente a Queenstown, sulla riva del lago Wakatipu, acque turchine che riflettono la catena delle Remarkables, montagne rinomate per gli sport invernali. La città è una mecca per gli escursionisti e i praticanti di tutti gli sport, compresi quelli estremi. Ha un numero notevole di ristoranti di classe mondiale, alberghi, boutique e attrazioni varie. Paragonata alle altre località che abbiamo visitato è molto vivace e piuttosto cara. Siamo ospiti per un paio di giorni da un'amica di Chris, la nostra amica di Auckland, che ci accoglie cordialmente e ci aiuta a organizzare le nostre attività. L'anno successivo sarà nostra ospite. Queenstown mi piace parecchio, sento che potrei abitarci. E' internazionale e insieme immersa nella natura, attiva e anche un'oasi di tranquillità: va bene per tutti.




Una delle escursioni mattutine sarà una gita in battello a vapore, il TTS Earnslaw - l'ultimo della serie, costruito nel 1912 e ancora in servizio - con magnifici interni e strumenti in ottone lucidissimo. Attraversiamo la lunghezza del lago di origine glaciale (il più profondo del Paese: 370 m, di cui 70 sotto il livello marino) fino a Walter Peak, dove c'è una fattoria che opera a beneficio dei turisti, con cani da pastore che si esibiscono radunando il gregge, e una dimostrazione di tosatura delle pecore, nonché un ristorante e negozio di souvenir. Il tutto piuttosto commerciale, ma ben organizzato.



 

Nel pomeriggio ci aspetta una spettacolo di haka. Si tiene in cima a Bob's Peak che sovrasta la città, a cui si accede tramite cabinovia. L'ascesa è magnifica: la città rimpicciolisce a vista e il lago appare in tutta la sua maestosità. La linea passa in mezzo a vegetazione e natura e finalmente si arriva a Bob's Peak, dove c'è un ristorante con un palco dove sei Maori, tre uomini e tre donne in costumi e trucco tradizionali, si esibiscono in danze e canti, spiegando la natura e il significato di questi, e infine alcuni fra il pubblico vengono selezionati per una "lezione di haka". Purtroppo chiamano anche me. Non vi racconterò la figuraccia che ho fatto, e qualcuno ha osato perfino applaudire...
Finito l'incubo e rinunciato a scendere a piedi, visto che si è messo a piovere, riprendiamo la cabinovia e fotografiamo uno strepitoso doppio arcobaleno e una ragazza che si lancia nel bungee-jumping.



L'indomani partiamo per Te Anau.

(Continua)


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