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Friday, 27 September 2013

"Look for the Solution in Yourself"



With these words Daniel Barenboim summarised the message of Beethoven’s Ninth Symphony before directing the performance of the West-Eastern Divan Orchestra at the BBC Proms in 2012.



The wonder of the Choral repeats itself once more under his baton, even more wondrous this time, for the presence of over a hundred artists from Israel, Palestine and other middle-eastern countries, jointly with the 200+ elements of the National Youth Choir of Great Britain and four fabulous soloists, all of whom represent the perfect harmony Beethoven had intended when he put the verses of Schiller’s poem about universal brother- and sisterhood into music, in the years of his tragic deafness, but maintaining  his prodigious sense of hearing within himself .



Ludwig van Beethoven



 

Barenboim conducts with unusual inspiration and flare, combining force, rigour, levity and tenderness, like a loving father educating his children. Those attractive, concentrated young faces portray indeed universal harmony and love of one’s neighbour, merging their notes with those of the artists sitting next to them, and represent the invaluable prize of joint efforts towards a common cause. While their mates in the Middle East are brandishing submachine guns, hurling stones at each other or wearing explosive-filled belts, attempting to take as many “enemy” lives as possible in their perverse quest for glory, these young women and men use their bows, mallets and instruments to achieve the real glory, one that is the cause and the ultimate end of Joy.



Two men with a vision who could translate their dream into reality, Daniel Barenboim and the late American-Palestinian intellectual Edward Said founded the West-Eastern Divan in 1999, and this is perhaps the first instance of peace in war. Music doesn’t kill; it is the universal language more than any other and promotes hope and love.

I know it is long, but I would like you to watch and listen to this video of Beethoven’s masterpiece, to me the absolute pinnacle of all forms of art; I promise you a unique experience. This highly symbolic event has really filled my soul with beauty, hope and joy.







Tuesday, 24 September 2013

Torna il passato: fantasmi o memorie distorte?




 
Qualcuno con un passato: con questo eufemismo i britannici definiscono un essere umano con qualcosa da nascondere.


Così mi sono sentita io spesso, davanti a domande imbarazzanti sulla mia vita. Proprio per la mancanza di un passato romanzesco – una cruda realtà – che la mia natura romantica faceva fatica ad accettare, ho talvolta costruito ricordi avventurosi su spunti di vita quotidiani. Sognavo e descrivevo i miei sogni come se fossero realtà. Poi me ne vergognavo. Già, perché avevo fantasia ma poca memoria, e mi sarà capitato di smentirmi, senza dubbio. O che mi smentisse qualcun altro.


Alle elementari le mie compagne descrivevano i costumi da damina del settecento che avrebbero indossato a Carnevale. Io non avevo costumi, e allora ne inventavo e descrivevo uno da “damina del quattrocento”. Alla festa in casa a cui ero invitata dalle mie compagne sontuosamente mascherate, arrivavo vestita da tutti i giorni, per mia somma vergogna, e la mia mamma spiegava ridendo che mi ero inventata tutto. Sarei voluta sparire in quel momento e per sempre.




Conscia delle “bugie bianche” che avevo seminato per cinque anni, alla fine delle elementari sono diventata introvabile da tutti quelli che mi avevano conosciuto. La storia si è ripetuta dopo le medie e dopo il secondo anno di liceo, quando ho abbandonato gli studi formali e nonostante l’istinto a mentire si fosse già molto ridotto. Se vedevo qualcuno che conoscevo per strada, attraversavo per non salutarli. Ero diventata fobica del passato.

 
 
Di recente, invece, mi ha colto un’irresistibile nostalgia dell’età dell’innocenza – per così dire – e ho cominciato a frugare nel passato per ripescare ricordi. E questi hanno cominciato a uscire dal sacco. Non sono per niente imbarazzanti, anzi fanno quasi tenerezza. L’ultimo tema della quinta elementare aveva pressappoco questo titolo: “Immagina di incontrare le tue compagne di scuola fra dieci/venti/più anni”. Che cosa fate? Cosa vi dite?”


 

Purtroppo questo non si è mai avverato, diversamente da esperienze altrui, che hanno appuntamenti annuali fissi. Però non è troppo tardi.

Delle mie prime compagne di scuola non ho più notizie, sebbene abbia tentato alcuni contatti. E’ passato troppo tempo, evidentemente. Invece ho fatto una scoperta emozionante rispetto una compagna delle scuole superiori: è ancora come me la ricordo, travolgente, vulcanica, spiritosa, una forza della natura e intenzionata a riprendere i contatti dopo quasi mezzo secolo… Da non credere. Spero di farcela a riprendere in mano e finalmente accettare il passato. E’ bello credere nell’amicizia.


Sarei curiosa di conoscere le esperienze di altri. Sareste tanto gentili da condividerle con me? Ve ne sarei riconoscente.

 
 

Sunday, 22 September 2013

Una vita in anonimato sopra tutte le righe




Ho già scritto della mia amica di 87 anni che vive ad Antibes. Donna straordinaria, poliglotta, figlia di un pastore protestante e prima di 13 fratelli, già bibliotecaria in patria e poi segretaria di uno dei maggiori rappresentanti dell'arte astratta, fino alla morte di costui.






Ha conosciuto quattro presidenti francesi, da Pompidou a Mitterrand, nonché tutta la crème de la crème dell'arte figurativa tra Parigi e la Costa Azzurra tra cui, naturalmente  Picasso, Braque, Mirò, Sartre, de Beauvoir e i maggiori artisti, scrittori e filosofi dagli anni cinquanta agli anni ottanta.



 
 
























Anche la storia della sua famiglia è un turbine di eventi straordinari: dal nonno cartografo che compilava atlanti per le scuole, alla prigionia del padre per mano dei nazisti, dalle ricerche matematiche a Harvard di uno dei suoi fratelli, all'annegamento della sorella più giovane nella baia di Antibes, al resto della sua famiglia spirituale, colta e cosmopolita, distribuita in quattro continenti, con coniugi, figli naturali e adottivi di tutte le etnie.






Donna spiritosa, acuta e avvenente, ha avuto un solo amore dai venti agli ottantacinque anni - quando lui è mancato - con un suo coetaneo compatriota, ma non si è mai sposata. Lui invece sì, e quando è rimasto vedovo, ormai già molto anziano, ha continuato la relazione con lei, senza però proporle di vivere insieme. Lui poeta, intellettuale, ecologista, egocentrico e viveur e lei introspettiva, profonda e brillante, conservatrice di rapporti e sentimenti. Una strana coppia senza uguali.


Come ho detto, avevo già scritto di lei per amicizia e ammirazione, pubblicando anche qualche sua fotografia e chiamandola per nome. Non avevo fatto però i conti con la sua riservatezza: mi ha ringraziato, ma mi ha caldamente pregato di togliere tutti i riferimenti diretti che la riguardavano: nome, origini, immagini... Naturalmente ho ubbidito, anzi mi sono scusata per l'intrusione. Soffro a non potere esprimere il mio affetto in modo più palese, ma rispetto la volontà e la privatezza di una donna senza paragoni.

Ha appena subito un'operazione ortopedica, la seconda, si trova ancora in riabilitazione, e non sa per quanto tempo ne avrà. Mi sollecita ad andare a trovarla, come ho fatto oggi con piacere, e mi chiama la sua amica fedele. Spero di andare presto a visitarla a casa e spero che mi permetterà di nominarla, un giorno...



Perché deprimersi? (Recensione cinematografica)



Ieri sera sono andata al cinema attratta dal nuovo film di Gianni Amelio, L'intrepido, con Antonio Albanese, film molto bene accolto dalla critica del Leone d'oro di quest'anno.


Premetto che considero Amelio uno dei registi più sensibili nel panorama attuale ed ero stata toccata da quel piccolo capolavoro di Le chiavi di casa, in cui Kim Rossi Stuart non era mai stato tanto bravo e convincente, e inoltre sono una fan di Albanese, un attore di enorme intelligenza, la cui maschera buffa e bonaria è capace di travolgenti trasformazioni (penso a Qualunquemente di Giulio Manfredonia).

Ciononostante non sono riuscita a reggere L'intrepido. Le premesse erano ottime: una trama  originale sullo sfondo della crisi economica attuale, ambientata nella malinconia di una Milano invernale, in cui un uomo senza lavoro fisso si adatta, anzi si appassiona, a fare il "rimpiazzo", cioè a sostituire chiunque non possa svolgere le proprie mansioni per periodi da due ore a pochi giorni, in impieghi che vanno dal manovale, al tramviere, dall'aiuto cuoco al consegnatore di pizze a domicilio, dal pagliaccio che intrattiene i bambini in un centro commerciale all'uomo che incolla i manifesti.





Tutti questi aneddoti sono mostrati con ironia e simpatica leggerezza, accennando anche ad aspetti meno fortunati, che però Antonio affronta sempre con il sorriso.

Poi, improvvisamente, la trama si fa cupa: apprendiamo che Antonio studia di notte e in tutti i momenti liberi per presentarsi a un concorso pubblico, che è al servizio di un boss malavitoso che non lo paga, che vive da solo, ma ha un figlio (Gabriele Riendina)
che gli regala calzini bucati per compassione.
Subentra anche l'aspetto romantico: al concorso pubblico passa le risposte ai quiz alla sua vicina che aveva lasciato il foglio in bianco.


Questa ragazza (Livia Rossi)
la incontra di nuovo allo stadio, mentre fa le pulizie con una squadra di spazzini. La riconosce e di lì iniziano a frequentarsi. Lei è una depressa cronica, da sempre disoccupata, incapace di vedere qualsiasi aspetto positivo della vita. Il figlio, sassofonista, soffre di paura del palcoscenico, la moglie la vede "qualche volta, da lontano" e uno dei suoi "rimpiazzi" consiste nell'accompagnare un bambino da un maniaco, che gli si fa credere sia il padre. A questo punto Antonio getta la spugna e, non più sorridente, se ne va condonando tutti i debiti al suo sfruttatore, che lo sbeffeggia.


Ed ecco approntato lo sfondo plumbeo su cui Amelio tesse la tragedia.
Non posso dire altro, perché a questo punto ho abbandonato la sala per difendermi da un imminente attacco di depressione. Grazie, Amelio.

 
 


Saturday, 21 September 2013

Silenzio e bellezza: Staglieno


Grazie, Sara, per l'ispirazione a postare ancora.
Voglio farlo prendendo a prestito la tua idea di descrivere l'atmosfera e le impressioni di un luogo di pace: tu hai parlato in modo stupendo e poetico del cimitero parigino di Père Lachaise, io tenterò di parlare del Cimitero Monumentale di Staglieno, a Genova.

Una verde oasi sul fianco della collina di Staglieno, in mezzo ad alberi secolari di dimensioni impensabili, è ideale per passare un afoso mattino di luglio, mentre le auto e i rumori cittadini vengono esclusi dall'alto muro che la racchiude. Definito da Ernest Hemingway una delle meraviglie del mondo, il cimitero di Staglieno seduce col suo fascino maestoso i pochi visitatori che si addentrano nel labirinto di sentieri ripidi, colossali conifere, marmi e bronzi scolpiti da mani di artisti famosi e meno famosi.
 
Mentre il grande, scandaloso e sfortunato Oscar Wilde è sepolto a Père Lachaise, a Parigi, la sua ex moglie si trova invece nella sezione inglese di Staglieno, in una tomba semplicissima - una croce celtica di pietra, come nei cimiteri irlandesi. Constance Wilde, donna coraggiosa e anticonvenzionale, infatti è morta a Genova a soli quarant'anni, nel 1898.



Constance Wilde (1858-1898)

Si potrebbe cercare sistematicamente le tombe dei grandi, o seguire un percorso di capolavori artistici. Però è anche bello passeggiare senza meta e scoprire bellezze più anonime, ma non meno toccanti, che si trovano ad ogni angolo.

E' quasi impossibile mancare il mausoleo moderno della famiglia De Andrè, per l'abbondanza di mazzi di fiori, vasi e lumi che la circondano. La morte prematura di Faber è una ferita ancora aperta per la popolazione cittadina, che lo ha sempre adorato. Si trova nella parte bassa in piano e il disegno è decisamente spartano o, per usare un antipatico e abusato aggettivo, minimalista.

Trovo particolarmente commovente il bronzo commemorativo di Alfredo Gargiullo, atleta immortalato ventenne nell'atto di tagliare il traguardo alle Olimpiadi del 1924 a Parigi; corse in batteria con il campione olimpico, Eric Liddell, e arrivò secondo dietro di lui.
 
Nascosti tra le fronde sorgono i mausolei e le cappelle di famiglia progettati da tanti architetti secondo gusti personali e dell'epoca - facciate tradizionali, neoclassiche, orientaleggianti, con guglie e rosoni gotici; vi è anche un mini Duomo di Milano (il mausoleo Raggio). C'è armonia nell'eclettismo, l'immaginazione è sovrana.

Il mausoleo di Mazzini colpisce per le dimensioni bizzarre: le poderose colonne doriche sono in realtà bassissime e ci si immagina di potere accedere alla tomba - che è però chiusa al pubblico - solo camminando in ginocchio.

La costruzione principale di Staglieno è il grande Pantheon ammirato da Mark Twain e modellato sul tempio romano, di imponenti dimensioni, tutto in marmo bianco.
 
Cappella Raggio
 
I lunghi portici sono nobilitati da sepolture grandiose e imponenti busti scolpiti appoggiati a ciascuna delle colonne e rivolti verso i tumuli. La sensazione è di sentirsi granelli di polvere sullo sfondo della storia.


Le lapidi dei caduti del Commonwealth nella Grande Guerra sorgono solitarie nella sezione militare. I caduti ormai non sono più visitati da nessun discendente, ma le tombe sono comunque scrupolosamente curate e stanno sull'attenti da quasi un secolo e per tanti anni a venire, in memoria dell'assurdità dei conflitti.


 
 
Per sentieri e scalinate occupati per la maggior parte dalla vegetazione che incornicia le tombe si arriva alla sezione ebraica, oggi quasi dimenticata, quasi una piccola stetl di marmo eroso dal tempo, con piccole gemme come l'inaspettata sepoltura di Perla Meisler Cunati, sicuramente un'artista.
 
 
L'intero cimitero è tagliato in due dall'acquedotto storico del Bisagno, in passato forma principale di approvvigionamento per Genova, oggi bellissimo percorso pedonale di ventotto chilometri che arriva fino in centro città. Invito chiunque a passare una indimenticabile giornata a Staglieno, per riempirsi di storia, natura, bellezza e quiete.
 
Daniela Verzaro, 21 settembre 2013