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Monday, 17 November 2014

La mia guerra contro gli elementi... e altro


 
Vivo in questa casa da quindici anni e l’adoro. Non è un posto per chi ama la vita facile, perché si è sempre alle prese con la forza dei quattro elementi, nonché con la mano maligna degli esseri umani e del destino.

 

Nel primo inverno la nostra proprietà completamente isolata non è stata per poco sfiorata da un incendio boschivo, le cui fiamme altissime toccavano il cielo a pochi metri dai nostri confini. E’ successo di notte, mentre eravamo a letto. Mi ha svegliato un rombo sordo proveniente dall’esterno. Ho subito pensato a un temporale, ma aprendo la porta sono rimasta senza fiato. Davanti a me s’innalzava una cortina di fumo rossastro che crepitava; il rumore era assordante e mi sono resa conto che non si trattava di un temporale. Battendo i denti ho svegliato mio marito e sono appena riuscita a balbettare: “Sta bruciando tutto!” Abbiamo immediatamente chiamato i pompieri e siamo rimasti abbracciati tremebondi in stato di shock.

 

C’è voluto un po’ perché arrivassero, poiché la strada per raggiungerci non era ancora stata asfaltata e non era illuminata. Sono riusciti a spegnere le fiamme, che non erano poi così vicine come pareva per illusione ottica notturna. Ci hanno comunque raccomandato di dormire a turno, dato che l’incendio avrebbe potuto riprendere. Una notte d’inferno.


 
Da allora siamo stati testimoni d’innumerevoli incendi boschivi, anche più vicini a noi del primo spaventoso; siamo ormai vaccinati contro la paura, giacché sappiamo come affrontare la situazione, la strada è asfaltata, abbiamo nuovi vicini, e sappiamo che il livello di rischio è basso.

 
Gli incendi accidentali sono spesso alimentati dal vento forte – ecco il secondo elemento di rischio – che può essere violento nella nostra zona. Si tratta di vortici burrascosi, che soffiano particolarmente in inverno, ma anche nel corso dell’anno. Talvolta sradicano alberelli, spezzano vecchi tronchi, mandando schegge a grandi distanze; sono particolarmente dannosi appena prima del raccolto, quando spezzano rami e portano via frutti, compromettendo la resa.  

 


Al largo del golfo non è raro osservare altissime trombe d’aria e trombe d’acqua; fortunatamente pare che non raggiungano mai la terra ferma.
 



 L’acqua è il terzo elemento che può accanirsi contro di noi, come ora. Abbiamo attraversato periodi di siccità e allagamenti nonostante la celeberrima benevolenza del nostro clima; normalmente le piogge si limitano alla primavera e all’autunno, e l’entità è limitata. Occasionalmente la natura impazzisce e ci rovescia addosso in tre giorni l’acqua che normalmente ci aspettiamo in tutta la stagione. I danni sono pressoché inevitabili, fortunatamente abitiamo abbastanza in alto. All’inizio piogge torrenziali ci hanno abbattuto molti muretti a secco, formando cascate assordanti, impregnando il terreno, e con questo uccidendo parecchi alberelli piantati da poco. Alcuni anni fa abbiamo rinforzato tutti i muretti col cemento, abbiamo costruito un canaletto per convogliare le acque straripate nel letto del torrente e oggi siamo in grado di apprezzare i risultati. L’acqua casca sempre giù dai terrazzamenti, ma non demolisce i muretti; il canaletto quasi esonda ma l’acqua scorre rapida verso la giusta destinazione. Tutto sommato un successo.

 

A valle è un’altra storia. L’elemento acqua e l’elemento terra si combinano causando alcuni dei peggiori disastri attuali. Calamità naturali hanno colpito molti dei paesi confinanti; i torrenti si sono riempiti e hanno scavalcato gli argini, allagando strade, cantine, garage, campi; trascinando via auto, biciclette, riempiendo bacini e porti di detriti e provocando vittime e morti. La natura può essere mostruosa, specialmente se aiutata dall’incuria umana.

 


Oltre agli elementi naturali, siamo anche stati vittime di un malefico virus influenzale all’inizio della nostra vita in questa casa. E’ stata la peggior influenza che ci ha mai colpito, e che ci ha lasciato deboli, indolenziti, febbricitanti e incapaci di svolgere i compiti più semplici per un paio di settimane. A me ha anche lasciato in eredità uno strano disturbo, l’anosmia, cioè l’incapacità a percepire gli odori, che è durata diversi anni e da cui non sono mai completamente uscita. Per questo motivo ci vacciniamo regolarmente contro l’influenza e da allora non ne prendiamo una.


 In conclusione, ma non è il minore dei mali, anche l’azione umana ha cercato di soffocare per ben due volte la nostra felicità. Infatti, abbiamo subito due furti con scasso. Il primo è avvenuto dopo dieci anni di vita spensierata, quando abbiamo deciso di installare serramenti di sicurezza, appena prima del completamento dell’opera. Ci hanno portato via tutti i gioielli e i piccoli oggetti di valore, un bel colpo. Ci hanno derubato di nuovo l’anno scorso, dopo la sostituzione di tutte le porte e finestre con altre a prova di scasso. Non essendoci più oggetti preziosi, hanno arraffato solo i PC, un tablet, lo schermo TV e pochi spiccioli – magro bottino. Sono però riusciti a spaccare una vetrata antiscasso, che valeva almeno venti volte il maltolto.

 Sono ancora felice di abitare nella casa dei miei sogni? Certamente. Vi sfido a farmi cambiare idea.

 DaniBlue

 17 novembre 2014

Monday, 10 November 2014

Un Calice dal Paradiso

 

E' difficile non diventare poeti parlando del Calice dei Cherubini: il nome dice tutto - è un calice degno di Cherubini,  Serafini e  angeli tutti.

La posizione bucolica sulle colline dell'Oltrepò pavese non ha niente da invidiare ai vigneti della Toscana - un dolce paesaggio ondulato coperto da filari ordinati a perdita d'occhio, dai toni autunnali attenuati, con un acero color arancio o un pioppo dorato qua e là. Finora, il luogo è ancora indenne dal turismo di massa, grazie al proprio isolamento.


L'edificio principale è una cascina tradizionale ristrutturata in cui si trova la cucina e la sala da pranzo, con un capannone separato per il magazzinaggio e l'imbottigliamento dei vini di produzione propria (pinot nero, barbera, bonarda, riesling, miscele interessanti, vini da dessert e grappe).


Calice dei Cherubini è un'azienda familiare gestita in armonia, con una storia edificante che risale al 1964, in cui si dividono i compiti tre generazioni di Calatroni - coltivazione, vinificazione, cucina e servizio in sala, il tutto seguendo la più scrupolosa professionalità, per la massima soddisfazione dei clienti.


Il menù fisso varia secondo il mese e comprende diversi antipasti, due primi, secondodolce e diversi generosi assaggi di vino (6) che accompagnano ciascuna portata, per finire con caffè e grappa.





Ecco la descrizione del nostro pranzo. Per iniziare, ci hanno servito un calice di finissime bollicine rosé (Pinot nero) come aperitivo. Poi sono arrivati gli antipasti, comprendenti tre portate di assaggi: per prima cosa, un piatto con tortino di zucca, frittatina con cipolle dolci e una fetta di cotechino con puré di patate; seguito da crostini con formaggio molle, pezzettini di grana su verdure crude con una salsa di cipolle dolci; infine un vassoio di salumi locali tradizionali che si fondevano in bocca (coppa, salame, pancetta). Il vino di accompagnamento era una Bonarda rossa.



Successivamente sono arrivati i primi. Uno era un assaggio di gnocchetti alla rapa rossa con salsa di gorgonzola, accompagnato da un notevolissimo Pinot nero; l'altro un risotto al radicchio invernale cremoso e sensuale, accoppiato a un Barbera.

La portata principale, grandiosa e inconsueta, consisteva in guanciale di vitello, stufato in salsa di Riesling, servito con polenta e tortino di patate e accompagnato da un potente Perorossino, un'interessante miscela di rossi (Barbera e Croatina).
Il dolce da sogno era una torta morbida di pere e cioccolato presentata in estrema semplicità, il cui gusto sublime era sottolineato dal sottile aroma del vino Unico da dessert.
Alla fine di un tale viaggio nella gastronomia e nella sensualità abbiamo preso un caffè moka. Ci sarebbe stata da assaggiare la grappa della casa, ma eravamo sazi.




Nessun passo falso, tutto perfetto. Il conto è stato l'aspetto più strabiliante di tutti, per uno dei pasti più soddisfacenti e dal prezzo più contenuto mai sperimentati.



DaniBlue
10.11.2014
 




 

Saturday, 8 November 2014

Langhe: un sogno d'autunno

 



Novembre: tempo di vendemmia, tartufi bianchi e paesaggi collinari brumosi che ci chiamano per la solita escursione annuale nelle fiabesche Langhe, la zona viticola che si estende da sud di Torino all'Appennino Ligure, dove si producono vini leggendari come il Barolo e il Barbaresco dalle uve nebbiolo.


Il nome del vitigno deriva da nebbia per due motivi: perché gli acini sono coperti da un velo lattiginoso e perché i grappoli vengono raccolti quando arrivano le prime giornate di nebbia, a fine ottobre/inizio novembre.



Nemmeno quest'anno possiamo perderci il lusso di questa esperienza, allora ingaggiamo i motori di ricerca per trovare sistemazione per una notte e un ristorante eccezionale.

Il mio partner si impegna in una lunghissima ricerca, telefona a dozzine di Bed & Breakfast, agriturismi e alberghi e ottiene sempre la stessa risposta: "Spiacenti, siamo al completo". Infine, atterra sulla Cascina La Rocca che, miracolosamente, ha una camera libera.




Il navigatore trova subito l'indirizzo e a noi piace la facciata agreste e il cortile antistante molto spazioso. La provinciale Alba - Barolo dista 150 metri di fronte, quindi davvero il rumore è contenuto. Il retro dà su un pendio collinare coltivato a vigna, probabilmente barbera, e a lato c'è un lunghissimo capannone adibito a stalla.



La nostra camera è spartana, ma spaziosa e arredata con mobili rustici antichi. Non c'è televisore, ma un'eccellente connessione wi-fi gratuita. Il letto è molto comodo grazie al materasso ortopedico. Il bagno essenziale ma pulito. Abbiamo anche un balcone con tavolo e due sedie, con vista sul paesaggio riposante. La pantagruelica prima colazione presenta molti prodotti fatti in casa. E, per finire in bellezza, il conto è contenutissimo, paragonato a quello degli altri alberghi.




Il merito maggiore del nostro agriturismo è quello di trovarsi a due minuti a piedi dal ristorante che abbiamo scelto per farci una scorpacciata di tartufi, cioè Massimo Camia. Si tratta di un nuovo locale aperto ed è gestito dall'omonimo chef, dalla moglie e da uno staff internazionale molto competente.


E' immacolato sotto ogni aspetto:
1 - La cucina: le portate sono generose, gustose, fantasiose, presentate in modo artistico in bellissimi piatti;  la ricca lista dei vini comprende alcuni dei più nobili cru locali, primo fra tutti il Barolo.
2 - Il servizio: tutto il personale è altamente professionale, cortese, poliglotta, cronometrato e per nulla invadente; lo chef in persona esce due volte, per darci il benvenuto e per chiederci se siamo soddisfatti.
3 - L'atmosfera: il locale è arredato in stile contemporaneo, elegante, con toni neutri molto gradevoli, poltrone comode, tavoli ben spaziati che garantiscono intimità, lini pregiati, porcellane, cristalli e argenti di stile; grandi finestre che danno sul magnifico panorama eccetera.
4 - Il rapporto qualità-prezzo: ragionevole se si considerano qualità, porzioni e prestigio della Stella Michelin Star.




Abbiamo fatto una cena indimenticabile che ci ha colpiti fin dall'inizio. Eravamo tentati dall'opzione del menù fisso, ma ci siamo resi conto che non saremmo mai riusciti a consumare tutto, così abbiamo optato per il menù alla carta. Il risotto con petto di piccione, cremoso e servito con una generosa dose di aromatiche scaglie di tartufo bianco fresco, era semplicemente perfetto. Prima del risotto erano arrivati degli assaggi a sorpresa,  tutti deliziosi e combinati in modo interessante, una crema di fagioli con lasagnette di farina di castagne accompagnata da grissini e mini panini fatti in casa. Il mio partner ha poi ordinato un vassoio di sei tipi di formaggio langhirolo, tutti eccellenti, serviti con miele, marmellata e chutney casalinghi, accompagnati da fette di  pane dolce tostato e speziato.



Io ho ordinato un tortino alle nocciole con crema pasticcera - fantastico, ma non sono riuscita a finirlo, poiché è arrivato dopo un pre-dessert a sorpresa (formaggio cremoso con cioccolato caldo). La cena non era ancora terminata, infatti ci hanno portato assaggi di piccola pasticceria che non abbiamo purtroppo quasi mangiato, nonostante fossero squisiti.



Come vino, abbiamo ordinato un notevolissimo Barolo del 2010 Da Milano dalla vigna Brunate proprio dall'altra parte della strada. Intenso, molto strutturato, elegantissimo, con uno spiccato aroma di anice. Una cena da ricordare fino al prossimo viaggio da queste parti, fra un anno.

DaniBlue

7th November 2014

Wednesday, 29 October 2014

Guerra a Diciamo


C'è una cosa piccola, piccolissima, che mi manda in bestia di questi tempi. So di essere un'integralista grammaticale, ma davvero non riesco a contenere la mia frustrazione tutte le volte - milioni di volte - che sento pronunciare l'intercalare "diciamo". Un pugno ai timpani che mi viene inferto da giornalisti, politici, professionisti, studenti, e gente qualunque – perché l’esempio è contagioso. Qualcuno la usa con la frequenza di una partita a ping pong: "Il presidente, diciamo, ha detto che, diciamo, i risultati non rispettano, diciamo, le aspettative". Un interloquire cuscinetto che serve a dilatare i tempi, non i contenuti, e che rivela una deprimente miseria di idee.
La povertà lessicale è appena tollerabile tra gli ignoranti, non in bocca a coloro che dovrebbero essere modelli di eloquenza o per lo meno di corretto parlare. DICIAMO BASTA A DICIAMO (in attesa di una nuova interiezione meno irritante).

DaniBlue

29.10.2014

Sunday, 26 October 2014

Da insopportabile sputasentenze a Giovane favoloso


 


Ricordo di avere detestato Leopardi da adolescente. Perché? Forse perché mi veniva presentato come un giovane aristocratico scorbutico e altezzoso, con l’attenuante di essere storpio e sfortunato in amore. Non ricordo da chi ho assorbito queste nozioni, ma certamente si trattava di qualche insegnante che non lo amava molto.
In modo incongruente ero ipnotizzata e commossa dai versi de “L’infinito”, “Alla luna”, “Il passero solitario”, ”A Silvia”, in cui mi pareva che bellezza, melodia e sublimi pensieri si mescolassero per produrre qualcosa d’incomparabile. Allo stesso tempo mi irritava l’arroganza di quello che percepivo come un privilegiato verso il resto del mondo, il suo scherno verso gli umili e i loro innocenti passatempi. Vedevo la perfezione della poesia e la meschinità dell’anima. In realtà non avevo capito quasi nulla.

L’opinione si modificò in parte durante i corsi universitari che approfondivano l’arte – e la vita, ma senza necessariamente collegare inestricabilmente la prima alla seconda – del poeta. Studiai oltre ai Canti le Operette morali e lo Zibaldone. Ero confusa dalla profondissima conoscenza che dimostrava di quasi tutto lo scibile umano; questo tuttavia non me lo rendeva più simpatico. Ero convinta del suo valore artistico e dalla sua erudizione, nonché delle sue idee liberali, agnostiche e anticonformiste che mi erano state rivelate; per il resto mi lasciava fredda.

Poi è arrivato Il giovane favoloso di Mario Martone, il regista di cui avevo già visto e apprezzato Noi credevamo. Ero curiosa di vedere la sua resa del tema e quindi sono andata a vederlo.
 

Devo dire che non mi ispirava la scelta del protagonista Elio Germano, perché nei film che avevo visto fino a quel momento non mi era piaciuto molto. La sua caratterizzazione tende alla caricatura, anche in questa pellicola, ma forse il gigionismo non è  prescindibile dall’interpretazione. Dopo tutto se si vuole interpretare Leopardi non si può farlo sottotono. Però, però… ho trovato una certa credibilità espressionistica; la sofferenza interiore e il dolore fisico si fanno persona, più che personaggio. Gli slanci, le passioni, la furia impotente contro l’ambiente aristocratico, conservatore e bigotto sono piuttosto convincenti.

Sebbene non possa ancora definirmi del tutto “convertita” al culto leopardiano, devo ringraziare Germano, Martone e il cinema per avermi avvicinato un po’ di più al poeta, che ormai non vedo più come il rampollo stizzoso e infelice della nobiltà feudale recanatese e papalina.
 
 
DaniBlue

26 ottobre 2014
 

 

Tuesday, 21 October 2014

One Boat I Missed




At seventeen, I was an art student looking for an either full- or part-time advertising job in the city where I lived, which was known as a capital of design. I had learned the theoretical skills of graphic art and was eager to acquire the practice as well. I tirelessly copied down from the Yellow Pages dozens addresses of agencies and started to explore, starry eyed, my portfolio under my arm, to enquire whether they needed apprentices.




I walked from agency to agency, sitting interviews and being politely rejected by each one. Conscious of my lack of experience, being young, shy and unaware of the world I was exploring, my demands were modest. When confronted by the question “ How much?”  I started stuttering  “Whatever you decide I am worth”.
I walked into an agency and was surprised to find two girls, former school companions of mine, who were trainees in it. They welcomed me merrily  and introduced me to the art director who had hired them. When we were at school, I was considered top of the class, whereas they were somewhat notorious for being  lazy and somewhat easy. Here, instead, they seemed to enjoy what they were doing and appeared to do it with a degree of competence. They convinced their boss to let me have a go. I was overjoyed and started my apprenticeship. There were several nice activities that I could finally put to practice – layouts, storyboards, choice of colours and fonts plus a myriad other little playful games. And all this, unlike at school, was done for REAL paying clients. When I went back home that evening I was thrilled and looking forward to the next morning.

At the end of day two, the art director walked over to me and whispered mournfully that he regretted it, but they could not keep me, because they had already enough interns. Bang. I was shot through the heart. Good luck and so long.
 

My search resumed. On one occasion I was kept waiting several hours for an interview with the boss who in the end never made an appearance. Most of the times I was simply dismissed without even the prospective employers taking a look at my portfolio.
 
I was given a chance at an umpteenth agency. They told me that they would consider what wages they’d give me after a training period of a month. So I went everyday and did all I was asked to do – not very exciting, rather menial jobs on the whole, but sort of training grounds. When pay day came, I went to the boss and asked with a smile what he thought I deserved. He answered thus: “You are an apprentice: we are teaching you a job, therefore YOU should pay US. But if you want to continue, we will be generous and give you a chance for free”. I was too naïve to report the agency to the labour unions – what did I know of this murky jungle after all?
Deeply dispirited as I was, I had another go in a final agency. However, the work I did there was truly uninteresting and the wages were peanuts.


 
 
After a few months of fruitless search I had almost given up, when I received a call from a gentlemen with a foreign accent who said he had  got my name from mutual acquaintances. He wanted to see me. I went to the appointment with my portfolio and a little hope. He had a private studio in one of the city skyscrapers and was an amateur painter and a Swiss businessman. He was in his eighties.
He had a look at my portfolio and gave me a positive assessment; he said he was planning to illustrate a new edition of Desiderius Erasmus’s The Praise of Folly and invited me to do some sketches of those passages that  I found most impressive. He lent me the book and asked me to read it. This would be the first of my tasks.




The second task would be to pose for him, for which I would get attractive fees. I was dumbfounded. I was a graphic designer, not an artist’s model; on the other hand, I was penniless and keen on becoming independent of my family. He sensed my bafflement and reassured me: “I am an old man, I could not molest you even if I tried. All I am asking you is to be my model, dressed and undressed. Don’t give me an answer now. Think about it, and next week you’ll let me know. Meanwhile start reading The Praise of Folly and see it if it inspires you some artistic output.”
He bid me goodbye with a smile and a stroke on my head. As I rode the lift leaving his studio, I was utterly confused. He looked a real gentleman, old, well dressed, mild-mannered; he appeared to have money but wasn’t a braggart. He gave me the impression of being very lonely, but this could also spell danger…



I was undecided whether to go back to his atelier or let the thing fall through. I had his book, true, but I could return it to him by post. Instead, he rang and asked me if I had started reading it and had got some ideas. He was ever so polite; how could I have doubted his intentions? His call spurred me on to develop a few ideas for illustrations. I wanted to show him that this was my priority: I was serious about becoming a professional illustrator, so I drew a number of sketches, which I took to him at our following meeting.
He considered them carefully, gave a positive technical evaluation and started discussing the book with me. He wanted to know my impressions; I was rightly embarrassed, because I felt my cultural level to be well below his own. He graciously said that Erasmus’s prose would grow on me, and that my drawings confirmed that. Then he asked if I had considered his proposal of modelling for him.

 
I blushed and said that I accepted it. He was glad, and asked me to remove my blouse and bra. He turned away to spare my embarrassment. When I told him I was ready, he turned to look at me betraying  no emotion. He considered me from all angles, then started sketching on his pad.
 
 
We had a number of these sessions. He was always gentlemanly, never attempted to touch or kiss; I was growing more confident and slowly stopped doing drawings for the book. I simply posed for him and he paid me regularly. Sometimes he even took me out for a drink; once we drove over the border to Switzerland in his car and had an aperitif in an elegant bar on the lake shore. He looked very old and sad. I couldn’t – and wouldn’t – get through to him. For me he was my employer; he belonged to another social class, another generation, another world. I never asked about him or his family, nor he about me or my family. There was a barrier between us. Probably this is what made him sad.
 
Autumn came and I started having a young boyfriend. My relationship with the Swiss slowed down. Our sessions thinned out, then stopped altogether. I never heard anything about the old man again. All that I am left with of our interlude is a present he gave me – a nude portrait he did of me, crayon on paper.
 
21.10.2014
 
© DaniBlue